Candela in provincia di Foggia Posted 16 aprile 2013

0

ull’origine di Candela, molte sono le versioni, alcune di esse contrastanti, diverse autorevoli.

 

Lo storico Nicola CORCIA, nella sua “Storia delle Due Sicilie dall’antichità più remota al 1799 ” (Napoli 1843-47, pag. 593) fa risalire l’origine del paese, col nome di “Candane”, ai cretesi, così come pure il Cely Colaianni nel suo “Vocabolario Etimologico Erudito di parole italiane derivanti dal greco” (Napoli 1866).

 

Entrambi, fondarono le loro convinzioni su uno scritto del più antico storico greco, Ecateo di Mileto (sec. V a.C) che faceva riferimento ad un’antichisimma città a nome Candane, appunto, situata nella Iapigia.

 

Al di là della convinzione dei predetti, non esistono, a tutt’oggi, elementi oggettivi che possano far ritenere tale ipotesi reale. Documentazione certa, custodita nell’Archivio della SS. Trinità di Cava dei Tirreni, si ha, invece, a partire dal 1066. Tuttavia, sull’origine del paese, la versione più accreditata, riscontrata in toto proprio a partire da quest’ultima data, è quella del Sacerdote e storico, Adriano BARI, secondo il quale, l’attuale paese sorse nel periodo delle invasioni Ostrogote-Longobarde, le cui razzie, avevano costretto la popolazione di origine Dauna ad abbandonare un primitivo borgo, situato poco distante, per rifugiarsi sulla collina. Dell’antico borgo pre-invasioni, è fatto cenno nella V satira di Orazio. Recita, questa, testualmente:

 

“Incipit ex illo (Benevento) montes Apulia notos

Ostentare mihi, quos torret Atrabulus et quos

Nunquam erepsemus, nisi nos vicina Trevici

Villa recepissent, lagrimoso non sine fumo

Udos cum foliis ramos urente camino.

Quatuor hinc rapimur viginti et millia rhedis

Mansuri Oppidulo quod versu dicere non est,

Signis perfacile est venit vilissima rerum

Hic aqua:sed panis longe pulcherrimus ultra

Callidus ut soleat humeris portare viator,

Nam Canusi lapidosus, aqua non ditior urna”

 

Dunque Orazio partito il mattino da una villa vicina a Trevico e dopo aver percorso 24 miglia romane, andò a pernottare in un piccolo oppido, che non valeva la pena mettere in versi, che era sulla via Egnazia detta poi Traiana. Secondo alcuni studiosi, il piccolo Oppido oraziano va identificato in un borghetto ubicato ai piedi della attuale Candela. Il ritrovamento di alcuni sepolcri, avvenuto all’inizio di quest’ultimo secolo non lontano dall’abitato, dimostrano che verso la base della collina, nelle vicinanze della via che all’epoca romana portava da Trevico a Canosa, doveva esservi un borghetto antico abitato dagli indigeni dell’antica Daunia, come dimostrano i vasi in essi rinvenuti.Ad avvalorare questa ipotesi vi è un recente studio del Prof. Erminio Paoletta, il quale identifica la località Honoratianum con l’antica Candela. Honoratianum è il nome assegnato sull’Herculea minor dall’Itinerarium antoninianum ad un luogo segnato a XV miglia dopo l’accadiese ad matrem magnam, identificabile appunto con Candela (situata pure oggi a 30 Km. da Accadia) sul percorso dell’antica Herculea o Traiana Minor.

 

Secondo A. BARI, è probabile perciò che la popolazione di questo borghetto Oraziano, il quale senza dubbio era in luogo aperto ed indifeso, all’epoca in cui Totila, flagello di Dio, fece diroccare le mura di Benevento, si fosse spinta in alto della collina cercando riparo da dette scorrerie. Come pure è probabile che quando i Longobardi fondarono il Ducato di Benevento (570-571), una loro banda avesse invaso il nuovo borghetto e, allettata dalla posizione strategica e dalla fertilità dei campi, vi si fosse stabilita ed avesse fatto erigere una Chiesa dedicata a San Michele Arcangelo ed una rocca. (E’ noto, infatti, che i Longobardi dell’Arcangelo erano devotissimi e che per loro opera, nel periodo furono erette molte chiese e monasteri a Lui dedicate). La rocca che questi costruirono in Candela, sul punto più alto del paese e nel rione ora denominato “Cittadella”, divenne successivamente un castello, ovvero un paesello circondato da mura e difeso da una rocca. Così come si evince da un documento dell’archivio della SS. Trinità di Cava dei Tirreni nel gennaio del 1066, il Castello di Candela, era posseduto dal normanno Guglielmo o Guidelmo, conte di Principato e fratello minore di Guglielmo Braccio di ferro che a difesa dello stesso aveva nominato viceconte un certo Ansererio. In detto documento, vi si attesta l’oblazione della chiesa che l’Ansererio fece per la sua anima e dei parenti suoi, all’abate del Monastero di S. Maria di Pescolo. Vi si legge infatti: “in eodem loco (Candela) a foras muras praedicti castelli, vetustam, dirutum, vocabulum Sancti Michaelis Arcangeli”. Se dunque questa chiesa, dedicata all’Arcangelo, era fuori le mura del castello, antica e rovinata tanto che il viceconte Ansererio prima di farne oblazione l’aveva fatta riedificare e consacrare (conciavi illam, deoque opitulante ad culmen perducta aedificare et consacrare feci de mea substantia), deve certamente ritenersi che la stessa dovette servire non per uso degli abitanti del castello, ma di una popolazione che da tempo antico si era stabilita sulla collina.

 

 

Nell’aprile del 1107, questa stessa Chiesa fu donata da Roberto il Guiscardo e con il consenso del Vescovo di Ascoli Satriano, al Monastero di Cava dei Tirreni con potestà di potervi tenere nel mese di maggio un mercato con esenzione di plateatico che era un tributo dovuto al principe per il transito per le piazze e le vie pubbliche. Tale circostanza afferma l’importanza del paese che evidentemente da piccolo borgo era divenuto oramai una fiorente cittadina commerciale in cui conveniva gente di paesi vicini.

 

 

 

L’ultima famiglia feudataria di Candela, è stata la famiglia genovese dei Doria. Infatti, nel 1531, alla morte di Filiberto d’Orange, Carlo V, concesse al grande ammiraglio Andrea DORIA, per i servizi avuti, il principato di Melfi ed il tenimeno di Candela. Quest’ultimo periodo, è senz’altro quello più importante della storia del paese. Sotto i quasi 277 anni che i Doria possedettero Candela, la cittadina andò man mano crescendo fino a divenire vero punto di riferimento della zona. In tale periodo,infatti, a testimonianza della sua crescita, furono costruite la Chiesa Madre, la Chiesadella Concezione ed un ospedale civile, annesso a quest’ultima ed il bellissimo palazzo Doria. Moltissime erano, infatti, le botteghe artigiane e ricercatissimo era il suo grano, che esperte mani contadine coltivavano nei fertili campi.

 

Notevole era anche la pastorizia. Qui affluivano le greggi della Transumanza dopo aver percorso il tratturo grande Pescasseroli-Candela e dopo aver pagato il tributo alla Dogana delle pecore di Foggia.

Ma un avvenimento abbastanza significativo dell’importanza che assunse il paese all’epoca è il soggiorno in loco del noto Ciccio d’Andrea. Fu in Candela, che l’ormai anziano giurista decise di ritirarsi e darsi alla filosofia; e fu in Candela, che spirò il 10 settembre del 1698. La salma, venne seppellita nella tomba dei nobili Iambrenghi.

 

Oltre a Francesco d’Andrea, vale senz’altro la pena ricordare alcuni illustri candelesi come i giureconsulti Dott. Ascanio Ripandelli ed il Dott. Liborio Bascianelli (1793-1863), i notai Michelangelo Bascianelli, Francesco Mitola e suo figlio Giovanni Giuseppe del XVIII secolo ed ancora i medici Nicola Lupo e Gennaro Tasca (1793-1871) il quale fu Vice Protomedico del Distretto di Bovino, socio dell’Accademia Medico-Chirurgica di Napoli, socio dell’Accademia Medica di Bologna, socio dell’Accademia dei Pellegrini affaticati di Castro Reale e pubblicò un trattato sulla febbre petecchiale.

 

 

Il prete Carlo Ripandelli che divenne custode della Biblioteca Alessandrina di Roma. Quest’ultimo, oltre ad aver pubblicato un volume di poesie, curò la traduzione degli inni sacri e i i Ritratti poetici di tutti i Romani Pontefici; opera, per la quale, ebbe in dono da Papa Pio IX una medaglia d’argento fatta appositamente coniare oltre ai riconoscimenti dell’Imperatore d’Austria e di altri sovrani cattolici. Il sacerdote Don Nicola Tasca, che fu precettore dei principi di casa d’Austria e Vescovo di Mantova.

Fra i cultori delle belle arti, seppe eccellere Pietro Masulli, morto in Napoli nel 1875, il quale, dopo aver studiato in questa città la pittura e la scultura, si applicò alla fonderia e, i suoi lavori in argento e bronzo per il loro pregio artistico erano molto considerati. Sono noti, infatti, la statua della Vittoria sull’obelisco in piazza de Martiri e un satiro di bronzo che si conserva nel Museo Mineralogico dell’Università.

 

Leave a Comment